Tag: Pietro Russo

Mappe #13

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Il soffio di Dio, il sorriso del poeta: Il cielo pende dai lampioni di Enzo Cannizzo

Enzo Cannizzo è un poeta che dà del tu a Dio. Anzi, la familiarità con il creatore è tale che il poeta può permettersi la minuscola («dio») con cui si cerca, con movenze ironiche e sornioni, un vecchio amico.  Volendo, si potrebbe anche parlare di un “affiatamento” cameratesco tra i due, nel nome del fiato/ruah della creazione nei confronti del quale il Cannizzo de Il cielo pende dai lampioni (Algra, 2020) sembra nutrire un’ossessione che non vorrebbe essere solo poetica; non si contano, a questo proposito, le tante occorrenze di soffio («un soffio precede la parola», p. 27; «il soffio è frana sopita», p. 58; «il soffio è argilla / frana setaccio crepa», p. 67), e ancora di fiato e di respiro, nella raccolta in questione. Qui il poeta non fa a gara con la divinità – l’esito sarebbe certamente scontato e sproporzionato – ma semmai cerca di cavarla fuori dalla solitudine impenetrabile in cui da sempre è stata relegata dall’umano. Così il Dio terribile del Testamento ebraico cede il posto a un «vecchio dio lo zoppo / pagliaccio esodato dal circo» (p. 16), ovvero «un dio vagamente vanesio» (p. 32), non certo per una deminutio blasfema dell’attributo divino, quanto per l’urgenza – religiosissima – di una “somiglianza” ancora più prossima all’umano. E cosa c’è di più specifico del riso per mezzo del quale la nostra specie, a quanto ci dicono, si distingue da tutte le altre? Il riso di cui parliamo, naturalmente, sa essere anche amaro, come ci insegna quel Qohèlet «figlio di Davide» che vede la ruah declinarsi in havèl, spreco, fumo, sostanza dello «schianto dolcissimo / di un altro mattino» (p. 14). E forse Il cielo pende dai lampioni vuole essere, prima di tutto, una forma di preghiera che dietro la maschera del cinismo clownesco avvalora la nostra dipendenza creaturale dal logos («nei nomi / passiamo // nei nomi / restiamo», p. 82); una preghiera invero disperata («il tuo respiro / non ci tiene da tempo / per mano», p. 78) che punta dritto a quel sorriso di Dio/dio intravisto solo dai mistici e dai poeti disperati che vedono le parole incendiarsi nella loro bocca.

(Pietro Russo)

ENZO CANNIZZO, Il cielo pende dai lampioni, prefazione di Maria Attanasio, postfazione di Giovanni Miraglia, Viagrande (Catania), Algra editore, 2020, pp. 136, € 12 .

Mappe #12

Una vita da ospite: Erri De Luca e la poesia dal cuore

Che cosa c’è all’origine della scrittura poetica? L’ospite incallito, silloge del 2008 di Erri De Luca, inizia con una premessa dell’autore che toglie il punto interrogativo: la poesia nasce quando la divinità smette di dire. Stando così le cose, la poesia sarebbe 1) ascolto del silenzio, o piuttosto dell’eco della voce divina, e quindi 2) un’espressione “a immagine e somiglianza” della parola di Dio. Si potrebbe quindi concludere che un testo poetico ben riuscito ha la pretesa di riaprire il canone delle Scritture, di ri-perimetrare il volume del sacro.

La poesia de L’ospite incallito – ma si può estendere il discorso in toto alla scrittura in versi di De Luca – rifugge dai modi tradizionali della lirica per imparentarsi con le forme più irregolari di una poesia-racconto (modello supremo: Pavese) che non rinnega la sapienza del cuore di matrice biblica. Il verso lungo è così una pista di decollo-atterraggio per parole, frasi, sentenze, postille che pescano tanto dalle vicende private del poeta (si vedano la prima e l’ultima sezione del libro) quanto dalla storia collettiva, sia essa del secolo scorso oppure veterotestamentaria. È una poesia, quella di EDL, che molto spesso vuole scolpirsi come manifesto (politico, religioso, identitario) di un Io che parla da confini ampi, complessi, multipli. Ma non per questo poeta urla la propria verità; semmai si limita a qualche Consiglio, a fare cioè come il lanciatore di coltelli che non centra il bersaglio ma lo costeggia perché, appunto, «la grazia è di mancarlo» (p. 23).

L’ospite incallito ci dice già dal titolo di un poeta e di un individuo – nella scrittura di EDL le due identità non sono divisibili – che attraversa la storia senza schermi o fraintendimenti, parlando dalla sede del cuore che non conosce limitazioni (infarto a parte), mai ponendosi come padrone degli eventi («Non sei il padrone, ma l’ultimo inquilino», p. 28) o in una posa stanziale («E niente è lì dove si va, destinazione», p. 21) ma sempre sul punto di disfare la tenda e così riprendere, come la divinità “beduina” nel deserto («Non voleva saperne di edifici, la divinità, / era nomade e nomade è restata», p. 33), il cammino, o l’arrampicata.

(Pietro Russo)

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