Mese: Febbraio 2025

Mappe #21

Vedere l’invisibile. Le finestre di Daniele Giustolisi

In un mondo dominato dalle molteplici icone degli smartphone e dallo scorrimento rapido di immagini e video – scrolling – sullo schermo dei dispositivi touchscreen, il brillante saggio di Daniele Giustolisi (Catania 1989) dedicato alla “finestra” è di particolare valore proprio nel riuscire ad innescare una riflessione critica e un affascinante dialogo sulle immagini attraversando il mondo della pittura e del cinema, spingendosi fino alle interfacce di Microsoft Windows. Il lavoro interdisciplinare di Giustolisi si pone come un atlante “incompleto” le cui carte prendono vita da una scelta particolare e individuale dell’autore e vengono illustrate e interrogate con uno sguardo fenomenologico e “poetico”. Non di sola semiotica si tratta infatti ma, nell’approccio dell’autore, – che ha già pubblicato due raccolte poetiche e ne ha una terza in arrivo – lo sguardo offerto dalla visione poetica è di particolare importanza «per cogliere quelle turbolente ed enigmatiche forze che, allo sguardo, certe rappresentazioni dell’arte (pittorica e non solo) scatenano, oltre il visibile». La “finestra” è immagine-segno capace di scandire l’inizio di una nuova era per l’uomo come nella storia biblica di Noè che, trascorsi quaranta giorni, apre finalmente le finestre dell’arca; è soglia, metafora esistenziale e sguardo reversibile dell’Altro e verso l’Altro, delimitazione di uno spazio sacro, simbolo di una rivelazione che «oscilla teologicamente tra presenza e assenza, tra luce e oscurità». Le suggestioni che nascono dalla lettura di questo eclettico libro-finestra sono davvero molteplici e nascono da un universo di profonde letture e riflessioni filosofiche, teologiche e artistiche, in una comune tensione a «deporre la vista per ricercare uno sguardo più profondo» e ad «esporci a nuove e imprevedibili aperture». La riflessione poliedrica di Giustolisi sull’elemento della finestra ha origine da un’antica visione che l’autore porta con sé fin dalla sua fanciullezza in un paesino siciliano arroccato su una collina che domina lo Ionio: «sopra i tetti delle case e delle altre terrazze (più basse della nostra), si scorgeva, in un capovolgimento prospettico vertiginoso, un piccolo specchio lontanissimo di mare solcato da barche minuscole come puntini. Il mare, da questa angolazione strettissima, era sopra i tetti delle case sorvolate dalle navi». Finestra, in definitiva, come possibilità di “vedere l’invisibile” oltre le maglie strette della tecnica e della razionalità, per aprire nuove e inedite prospettive al nostro sguardo sul mondo. Siamo per questo grati a Giustolisi e al suo libro insolito e coraggioso che torna a ricordarcelo.

(Massimiliano Mandorlo)

Daniele Giustolisi, Alla finestra. Sguardi, soglie e fratture tra pittura e cinema, Massa, Industria & Letteratura, 2023, pp. 180, € 18.

La “mitezza” dell’amore che non può finire

Un musical sul mito di Orfeo e Euridice

di Laura Cioni

Con grande riscontro di interesse, la Scala di Milano ha ospitato il 19 gennaio 2025 la prima proiezione del film The Opera! Arie per un’eclissi: un'opera-musical che racconta in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice ambientato nella nostra contemporaneità. L’opera è stata portata sullo schermo da Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, con i costumi di scena firmati Dolce&Gabbana (qui anche in veste di produttori). Si tratta di un film-evento, che in seguito è stato possibile guardare, ascoltare e ammirare al cinema solo nei giorni 20, 21 e 22 gennaio 2025.

Virgilio non aveva a disposizione musica, danza, abiti e strumenti digitali quando scrisse la leggenda di Orfeo e Euridice, riproposta recentemente alla Scala di Milano in uno spettacolo ricco di suoni e colori. Aveva lo stilo, mosso da un sentimento partecipe del dolore della vita. Quella che racconta nel quarto libro delle Georgiche è una leggenda antica di millenni, a noi pervenuta soltanto attraverso la sua poesia, in sostituzione dell’elogio di Cornelio Gallo caduto in disgrazia presso Augusto e per questo epurato.
Orfeo, il mitico musico che ammansiva le fiere con la dolcezza del suo canto, ama e sposa la ninfa Euridice. Nel fuggire dall’indesiderata corte di Aristeo, ella muore per il morso di un serpente. Tutta la natura piange con Orfeo, che tenta di consolarsi cantando sulla riva deserta la sposa perduta. Grazie alla dolcezza del suo canto ottiene di varcare la soglia dell’Ade, là dove regnano cuori incapaci di essere addolciti da preghiere umane. Si inoltra nelle tenebre paurose dell’oltretomba e le tenui ombre gli si avvicinano, innumerevoli come gli uccelli che si celano nelle fronde degli alberi quando la pioggia invernale o la sera li cacciano dalle montagne; sono imprigionate dalla palude stigia e le accompagnano le Eumenidi, giù negli inferi più cupi. Tutti sono pieni di incanto nell’ascolto di Orfeo ed egli ottiene da Proserpina di riportare in vita Euridice. Sembra che la poesia, penetrata nel regno della morte, ottenga di far rivivere quello che era perduto per sempre.
Ma c’è una condizione: Euridice sale verso la vita seguendo Orfeo, che non deve girarsi a guardarla prima che entrambi giungano alla luce: ma proprio sulla soglia Orfeo viene preso da una incauta follia, viola i patti imposti dagli dei inferi e si volta a guardare la diletta sposa. Impazienza scusabile, se i Mani sapessero perdonare. In un attimo tutto è perduto. La terra trema e si ode la voce di Euridice: «Ora addio. Vado circondata da una immensa notte, tendendo a te, ahi non più tua, le deboli mani».
Invano Orfeo cerca di afferrare l’ombra, di ridiscendere per la palude. La via è sbarrata. Per lunghi mesi piange, commuovendo le tigri e le querce, come all’ombra di un pioppo l’usignolo lamenta i piccoli perduti perché una mano cattiva li ha sottratti dal nido.
Non è, come appare a prima vista, una tragedia. Ѐ l’elegia dell’amore umano, impotente davanti alla morte. È la consapevolezza che anche l’arte non riesce a riportare in vita ciò che si è perduto e che si rivorrebbe. Ma pur intriso di lacrime, è un dolore che non si ribella, che accetta il limite di cui la natura è fatta e che con questa mitezza accoglie dentro di sé la vastità della sofferenza del mondo.

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