Mese: Giugno 2025

Mappe #24

Poesia presenza del mondo: L’attenzione di Angelo Andreotti

La poesia come soglia di attenzione dove non-più e non-ancora rinnovano la possibilità dello sguardo e quindi le parole del passaggio umano. Questo ci suggerisce Angelo Andreotti, poeta ferrarese morto da qualche anno, in L’attenzione (puntoacapo, 2019), libro dall’incedere sommesso e misurato che però non intende eclissare la commozione dell’incontro tra esperienza soggettiva e realtà circostante: «all’aurora / è in te stupore. | E il quieto abbandono / dei primi altissimi voli, librati / nell’aria ancora tutta da provare, / ti è riposo nell’anima / e attenuano la paura di te stesso / nascosto dentro a un luogo profondo / che non ti è centro, neppure salvezza» (All’aurora). L’orizzonte salvifico qui sembra essere quello di una parola che si affaccia sul bianco del foglio non come esercizio di letteratura ma come traduzione del «ritmo dei tuoi passi» (Gestazione) che pone alla luce un essere nel mondo sempre situato, nella «tua nudità / quando sei tu a prender gioia dal mondo» (Dialoghi). Interrogando un taglio di luce crepuscolare – ma nell’accezione data alla poesia di Gozzano&Co., ovvero tanto di inizio quanto di fine del giorno – così come le ore notturne tradizionalmente più inquiete e fertili per l’anima, Andreotti ci invita a un viaggio heideggeriano che si fa cura delle ferite del mondo che portano tutte lo stigma de L’indifferenza («Se soltanto sfiorassi quella vita»), di una momentanea caduta del nostro essere al mondo creature presenti, compassionevoli, poetiche: «Se qui, come se questo fosse il mondo, / ed è il mondo, il tuo mondo» (Presenza). Nonostante quella che sembra una naturale vocazione al rimanere all’ombra, il poeta non viene meno al suo compito di cercare un terreno di incontro in cui la propria esperienza risuoni in quella dell’Altro e viceversa, un’«ora che ci è comune ad entrambi / e ci accoglie e ci tiene qui insieme, / […] / in quest’ora in cui ha luogo il vero» (La condivisione). È lo stesso kairos della poesia sancito dalla citazione in chiusura di Simone Weil: «L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono».

(Pietro Russo)

Angelo Andreotti, L’attenzione, prefazione di Antonio Prete, Pasturana, Puntoacapo, 2019, pp. 92, € 12.

Dostoevskij: la speranza sulle labbra di un ubriacone

di Laura Cioni

«Perché si dovrebbe aver pietà, dici? Sì! Non c’è motivo d’aver pietà di me! Bisognerebbe crocifiggermi, mettermi in croce, invece di avere pietà! Ma crocifiggimi, giudice, crocifiggimi pure, e, dopo avermi crocifisso, abbi pietà di me! E allora io stesso verrò da te per essere crocifisso, poiché non è l’allegria che bramo, ma il dolore, e le lacrime! … Pensi forse, oste, che questo tuo mezzo fiasco mi abbia dato dolcezza? Il dolore, il dolore io cercavo in fondo ad esso, il dolore e le lacrime, e l’ho assaporato, l’ho fatto mio; e avrà pietà di noi Colui che di tutti ha avuto pietà e che tutti ha compreso, Egli è l’unico, ed Egli è anche il giudice. Verrà quel giorno, e domanderà: ‘E dov’è quella figlia che si è immolata per una matrigna tisica e malvagia, e per dei bimbi piccoli che non le erano fratelli? Dov’è quella figlia che ebbe pietà del padre suo terreno, un ubriacone impenitente, senza provare orrore per la sua bestialità?’. E dirà: ‘Vieni! Io ti ho già perdonato una volta… Ti ho perdonato una volta… Siano perdonati anche adesso i tuoi molti peccati, per il fatto che tu molto hai amato…’. E perdonerà la mia Sonja, la perdonerà, io so bene che la perdonerà… Poco fa, quando sono stato da lei, l’ho sentito nel mio cuore! … E tutti giudicherà e perdonerà, e i buoni e i cattivi, e i saggi e i mansueti… E quando avrà finito con tutti gli altri, allora apostroferà anche noi: ‘Uscite – dirà – anche voi! Uscite, ubriaconi, uscite, deboli, uscite uomini senza onore!’. E noi usciremo tutti, senza vergogna, e ci metteremo ritti dinanzi a lui. E dirà: ‘Porci siete! Con l’effigie della bestia e la sua impronta; ma venite anche voi!’. E l’apostroferanno i saggi, lo apostroferanno coloro che hanno giudizio: ‘Signore! Perché mai accogli anche costoro?’. E dirà: ‘Li accolgo, saggi, li accolgo, voi che avete giudizio, perché non uno di loro si è ritenuto degno di ciò…’. E tenderà verso di noi le braccia sue, e noi cadremo in ginocchio… E scoppieremo in pianto… E tutto capiremo! In quel momento tutto capiremo! …E tutti capiranno… Signore, venga il regno tuo!» (Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo).

Chi parla è Marmeladov, in una delle pagine iniziali di Delitto e castigo. Il suo scomposto discorrere da ubriaco riempie la bettola dove si è bevuto i soldi ricevuti poco prima da sua figlia Sonja, la prostituta che provvede alla sussistenza della famiglia.

C’è una parola che ritorna nelle frasi spezzate, dai nessi temporali e logici non sempre chiari. È la parola pietà, che trasforma la scena iniziale, fatta di lacrime, di debolezza, di malcelata vergogna, nell’aperto scenario del giudizio universale. Si avvera qui, in modo inaspettato, un’affermazione che sant’Agostino trae dalla sua esperienza di oratore, secondo cui la Parola è impressa dentro di noi non lontano da ciò che sta scritto nella nostra coscienza (Conf. I,18).

Marmeladov all’inizio chiede all’oste e agli avventori pietà per sé. Non ha cercato nell’ubriachezza il piacere, ma le lacrime per la sua misera condizione che sembra senza riscatto, avviluppata nel vizio senza che il pensiero della sua famiglia abbia il potere di guarirne o almeno di attenuarne gli effetti. Per questo cerca i soldi dalla figlia maggiore, Sonja. Chiede pietà per lei, sacrificata nel suo corpo per mantenere la famiglia, in realtà per pagare il vizio del padre. Il richiamo evangelico è esplicito: l’amore filiale purifica i peccati di Sonja fino al perdono, perché molto ha amato.

Lo scenario si spalanca a poco a poco e lo sguardo corre al giorno ultimo, quello del giudizio universale, nel quale tutto sarà perdonato, perché troverà la pietà di Colui che non distingue tra buoni e cattivi, anzi preferisce a quelli che si ritengono giusti coloro che non si sono mai creduti degni di salvezza.

«Venga il regno tuo!». Sulle labbra di un ubriacone l’ultima, riassuntiva parola della Scrittura.

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